«Ora che abbiamo imparato a camminare, potremo anche correre…».
«E, perché no, volare?».
Sospese a un filo di acciaio, a 1200 metri di altezza, librate in volo a 120 chilometri all’ora. Sfidano la forza di gravità per realizzare i loro sogni. Vivono così le donne che Patrizia Rossini racconta nel suo “Eravamo quattro amiche in chat”. Vivono sfidando le emozioni e cercando l’amore, sfidando l’amore e soffrendo per amore, purché sia amore.
E inizia così, con l’immagine di due amiche imbracate insieme nel volo dell’angelo, sulle Dolomiti lucane, la storia di Marta, Lisa, Betty e Asia. Ognuna con il suo percorso di vita, ognuna in qualche modo segnata dalla vita o dalla storia familiare, ma comunque determinate nella ricerca di una qualche felicità.
Una ricerca in cui si tuffano, si tuffano esattamente come per il volo dell’angelo, e molto spesso senza imbracatura, a parte l’unica protezione rappresentata dal sostegno delle amiche.
Amiche con cui piangere a dirotto e ridere a crepapelle, con cui condividere scherzi ed emozioni. Amiche con cui dividere la vita attraverso la convivenza virtuale di una chat che cinguetta dal primo sorso di caffè del mattino fino all’ultimo pensiero prima di dormire.
E la levità del cinguettio fa a botte con la profondità dei sentimenti, con il dolore che attraversa tutte le storie, con l’amore troppo spesso malato.
Quattro biografie di donne in cui tante, vorremmo dire troppe, potranno riconoscersi. Perché nell’era della falsa emancipazione e della ipocrita parità di genere ancora troppe donne, belle, in gamba, intelligenti e affermate, sprecano la loro vita in amori malati, fino a distruggersi. Per amore, dicono, purché sia amore.
E giù storie contorte e complicate, triangoli, tradimenti, matrimoni che finiscono, storie clandestine che vanno avanti per anni fino all’usura del cervello e del cuore con quella convinzione, tutta fanciullesca, che l’infinita pazienza o un bacio trasformeranno il rospo, o la bestia, in principe.
Ma anche laddove la trasformazione non c’è, anche davanti alla più dura delle realtà, nelle pieghe di “Eravamo quattro amiche in chat” c’è una assoluzione per tutti. Anche per i protagonisti maschili più irritanti e distruttivi. Anche per loro c’è un grazie: senza la loro (disastrosa?) esistenza nulla sarebbe potuto accadere, nessuna vetta o nessun abisso, sarebbe stato sfiorabile.
Un’assoluzione che suona di consapevolezza: nessun carnefice può esistere senza una vittima.
Duecentododici pagine intrise anche di profonda passionalità raccontata a piene mani e senza censure, con la postfazione di Saverio Abruzzese, psicologo e psicoterapeuta, per una più autorevole chiave di lettura.
Daniela D’Ambrosio